Professionalità e competenza tecnica, valori dimenticati
Ma perché a valori fondamentali come la professionalità, l’esperienza e la competenza tecnica di un produttore di vino non viene riconosciuta la giusta importanza da chi parla e scrive del settore? Beh, forse ciò si lega al fatto che su certi mestieri, per loro natura, proprio chi non sa nulla ha la pretesa di insegnare, a te che quel lavoro lo fai da un po’ di tempo e soprattutto hai avuto una formazione culturale specifica in materia: e il produttore di vino è uno di questi (l’altro è il ristoratore. Non dico l’arbitro di calcio, perché adesso c’è il VAR…).
O forse perché c’è ben poca consapevolezza su cosa sia un’azienda agricola e appunto quali valori forti e fondamentali vi siano racchiusi. Per azienda agricola intendo un’attività economica-produttiva seria e concreta.
Parlando di vitivinicoltura, nello specifico, mi riferisco insomma a quella tipologia di cantina medio piccola così frequente in Italia che fa vini integralmente prodotti, cioè coltiva e lavora le proprie uve, dove in prima persona opera ogni giorno il proprietario-vignaiolo-agricoltore con la sua famiglia. Occhio che io non demonizzo per forza cantine più grandi, non demonizzo la cosiddetta industria, ma oggi è proprio della percezione dell’universo di cantine cosiddette indipendenti, per intenderci fino a qualche centinaio di migliaia di bottiglie, che voglio parlare. Questa per me è un’azienda agricola vitivinicola vera. Non mi riferisco a cose da hobbisti, idealisti o cittadini annoiati – anche se ho il massimo rispetto – mi riferisco in questo caso a quell’agricoltura che in buona sostanza dà da mangiare al mondo. E fa il vino. Altra cosa anche rispetto a ‘garagisti’, o a chi ‘firma’ un vino fatto in altre cantine (come è il caso di personaggi famosi o facoltosi, o di gente comune che, come ci prova ad aprire un ristorante, ora ci prova a fare il vino). Gestire in toto, in proprio, una vera azienda agricola professionale e artigianale a un tempo è altra cosa. Molto difficile. Impegnativo. Faticoso. Rischioso. Bellissimo, certo. Ma con onori del tutto meritati che a volte non bilanciano gli oneri.
Bene, questo del recupero della dignità dell’agricoltore vignaiolo artigiano, di sostanza, non di chiacchiera, è un tema che sento molto.
Nel mondo del vino, si sa, passano invece messaggi molto semplificati e semplicistici (no barrique, lieviti indigeni si o no, i solfiti fanno venire il mal di testa, biologico=zero pesticidi ecc. ecc.), si ragiona per luoghi comuni.
Ma, credetemi, in campagna e in cantina, nella quotidianità, tutto è molto più complesso. Chi non sa cosa vuol dire avere una propria azienda, per favore abbia l’umiltà di ascoltare, di capire, non di insegnare. E non mi riferisco al grande dibattito sugli approcci alle degustazioni e alle derive ideologiche del gusto, allo sdoganamento del difetto organolettico e della contaminazione scambiata per autenticità, che richiederebbe un articolo ad hoc (ci tornerò sopra)….
Mi riferisco proprio alla percezione della produzione di vino in generale, percezione a cui ha contribuito la vulgata banale dei social e di certi movimenti di opinione di critica e influencer. Vista da fuori è un mondo dorato. Dove emerge troppo il lato ‘folcloristico’. Sembra vincente la figura del vignaiolo ‘personaggio’, un po’ come è successo alla figura dello chef. Vengono apprezzati di più gli aspetti emozionali e ‘amatoriali’ (e alcuni ci marciano su questo) a scapito di quello professionale. In Italia abbiamo invece migliaia e migliaia di bravi produttori silenziosi molto competenti che non fanno proclami, che hanno messo in piedi delle vere Aziende indipendenti. Figuriamoci se io non capisco e non condivido l’importanza della comunicazione e dello story telling, io che provengo anche da quel mondo…. Ma un ritorno alla sostanza delle cose lo vedrei salutare. Certamente, per chi ascolta è più seducente sentir parlare di cavalli in vigna che di trattori o di registri dematerializzati, di ricerche geopedologiche o zonazioni…
Tra l’altro, in Italia la cultura imprenditoriale è talmente carente che l’appellativo ‘imprenditore agricolo’ non viene compreso, anzi, viene quasi deriso, come se l’imprenditore agricolo fosse uno sfruttatore, uno che si vuole arricchire, anziché un custode/gestore/manutentore attento e appassionato del territorio, nonché un artefice di prodotti buoni e sani. Adesso è più di moda parlare di contadino quando ci si riferisce ai vignaioli: io preferirei allora parlare di agricoltore, come colui che organizza razionalmente i mezzi della produzione per proporre al mondo il suo vino al meglio possibile (e ricavarne un po’ di guadagno, certamente): credete che sia facile? Credete che facciamo tutta quella fatica solo per l’innominabile parola, il profitto? É tutto molto più complesso, profondo, per nulla banale…
Io quindi nel mio piccolo vorrei contribuire a scardinare un concetto distorto: e cioè che l’artigianalità di una cantina non vada d’accordo con il rigore e la precisione, con un’attitudine tecnica-professionale, con la quale cercare di ottenere il meglio da fonti scientifiche e di informazione serie, da consulenti, ricercatori, altri colleghi agricoltori (preziosissimi questi). Secondo me sono due modalità, artigianalità e competenza tecnica, che nelle aziende vitivinicole sono complementari, non antagonistiche.
Noi cerchiamo di cogliere il meglio della tecnica, studiando e approfondendo, ma siamo artigianissimi (non artisti, dire artisti del vino è l’ennesima esagerazione). Ed è grazie alla formazione tecnica e agronomica, ai consulenti giusti (ora alcuni produttori quasi si vergognano ad ammettere di avvalersi della consulenza di un enologo…), non alle ideologie e agli oltranzismi-antagonismi, che si può fare agricoltura in modo serio e quindi più sostenibile… Non con l’improvvisazione, non con il folclore, non con i presuntuosi proclami di chi si erge a paladino del giusto come se fosse chiamato a una missione salvifica, come fa tutta una pletora di fastidiosi personaggi e guru che in realtà trovo molto conformisti, quasi fossero depositari di una superiorità morale: atteggiamento che si riscontra perfino in alcune associazioni, in organizzatori di manifestazioni, in blogger e critici vari.
Noi di Manaresi, e come noi migliaia e migliaia di aziende, siamo anche fieri di affermare che seguiamo personalmente e fisicamente tutto il ciclo: ‘dalla zolla, alla tavola del ristorante’. Conduciamo il vigneto. Indirizziamo e quando si riesce effettuiamo personalmente la potatura secca e verde, decidiamo ed eseguiamo le varie scelte agronomiche in materia di difesa, gestione del suolo ecc.. Raccogliamo a mano solo le uve nostre, e le trasformiamo nella nostra cantina, progettata interamente da noi, ponderando ogni scelta tecnica iniziale; seguiamo in prima persona tutto, compreso l’aspetto impiantistico ed enologico-meccanico. Monitoriamo e assaggiamo costantemente i vini, tutti in vasche separate in cantina. E poi burocrazia, amministrazione, commerciale, marketing, consegne, export, social… Il piccolo vignaiolo è coinvolto in prima persona in tutto ciò. Siamo quindi ogni giorno alle prese con le mille beghe e problematiche che comporta la gestione di un’azienda vitivinicola in tutti i suoi lati pratici . Chi come noi opera e agisce in prima persona, sporcandosi le mani e pestando la terra, si scontra con mille rischi, inconvenienti, difficoltà, decisioni da prendere ogni momento e rapidamente. Ma chi lo sa? A chi interessa? Poi investiamo ogni anno quel poco che si può, sempre per attuare piccoli miglioramenti agricoli, tecnici, agronomici, gestionali, commerciali…. Noi siamo questo. Mai sentito nessuno, però, renderci merito del fatto che è stata creata un’Azienda, un organismo, un’entità che funziona e cammina con le sue gambe, che dà lavoro, che migliora e mantiene il paesaggio (ma che fatica!!!). No, macchè: l’enfasi magari è solo sul fatto 1) se usiamo o no il lievito selezionato, 2) su quanti solfiti aggiungiamo, 3) se in cantina non facciamo ‘niente’ (no! Facciamo moltissimo! A livello di cura e attenzione, perché siamo artigiani e si fa una gran fatica a star dietro alle cose), 4 se facciamo il sovescio (come se questo, pur utilissimo e che pur facciamo, fosse l’unica scelta agronomica che si può fare). Ho fatto solo quattro esempi, di quattro cose in un’attività che invece di parametri, di varianti, di aspetti ne ha 1000 (non esagero). Il bello è che se sbagli appena 2 o 3 cose fra queste 1000, sei fregato, perché tutto si regge su equilibri delicatissimi.
Poi magari ti vengono a dire che il vino è ‘fatto molto bene’, come se fosse una critica… Eh già, non si immagina che fare il vino molto bene costa tempo, soldi, salute… Non è scontato.
In sintesi: ritengo molto importante un’azione di tutela e di rappresentanza della figura del vignaiolo artigiano ma al contempo professionale e competente e – perché no – orgoglioso di essere un bravo agricoltore.
Anche per questo mi riconosco pienamente negli obiettivi della FIVI, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, che sicuramente fra le associazioni è quella più vicina a tale visione, l’unica che quella tutela e rappresentanza la sta attuando.