Io, agricoltore e produttore di vino, fra locdaunisti e indifferenti
“Lo ammetto: la mia è una testimonianza da privilegiato. Spazio, verde, aria buona, il lavoro che non ‘chiude’ mai. Con 24 ettari fra vigneti, seminativi, prati e boschi, se proviamo a guardarla con distacco, il più duro dei lockdown è quasi una vacanza… Seriamente, però: progetti, investimenti, spese, lavoro nostro e dei dipendenti: tutto procede senza tregua, implacabile.” –
Questo scrivevo qualche giorno fa, sulla seconda pagina del Resto del Carlino, edizione Bologna, in un mio intervento sulla ‘vita da vignaiolo’ ai tempi della pandemia. E qui di seguito, ecco la versione integrale del pezzo, leggermente tagliato per normali esigenze di spazio e di politically correct.
Ci chiudiamo occhi e orecchie e andiamo avanti. Ma ci chiediamo se non siamo un po’ incoscienti in questa situazione. Stiamo forse facendo finta di niente, e andando verso il baratro con un sorriso forzato e un misto di indifferenza? Sembra finita da poco la vendemmia 2020, e invece mancano 4 mesi appena alla prossima 2021, con 55.000 bottiglie da vendere ogni 12 mesi. Sì, adesso qualcosa sta cambiando anche dentro di noi agricoltori: una strisciante blanda rassegnazione, una malinconia di fondo, che ti rallenta anche nelle migliorie e nelle manutenzioni che ora hai tempo di fare in azienda e che magari hai sempre trascurato: di tempo libero ce n’è anche troppo, perché da 4 mesi non si vende un cartone di vino ai nostri ristoranti di qualità. Reggiamo con le briciole dell’e-commerce, con i pochi privati che possono raggiungerci, e con l’export, che conta(va) per noi il 30% del business.
Il momento economico è ai limiti della drammaticità. Fatturato al 10% del normale per 3 mesi del 2020 e ora per altri 4 mesi consecutivi. Ma non ne faccio una lamentela egoistica. Sostegni o ristori? Solo a sentirli, questi neologismi mi recano fastidio fisico. Sono stati pari a zero, nell’indifferenza più totale. Ma non ci interessano. A noi, innamorati della nostra città e del territorio, prima abituati a incontrare visitatori da tutto il mondo in azienda, piange il cuore nel vedere morenti turismo, cultura, spettacoli e tutto quanto collegato. Questo ci fa piangere! Non i soldi che perdiamo! (dico apposta perdiamo, non si tratta di mancati guadagni). E sono sicuro che la maggior parte dei ristoratori ed esercenti pensino lo stesso, abbiamo dentro la stessa amarezza nel vedere buttati anni di passione, di sforzi, di sacrifici che avevano portato Bologna a diventare una destinazione cult nel mondo. Ma ci amareggia anche l’ignoranza che tanti anche ad alto livello dimostrano sui concetti di filiera e di interconnessione in una società evoluta e complessa come la nostra. D’accordo, il momento sanitario per ora lo impone, ma le misure sono e sono state sproporzionate nell’intensità e nella modalità. Tutto è essenziale. Pari dignità ce l’ha un nostro dipendente, Giacomo, che è musicista rock professionista, mutilato nei suoi sogni e aspirazioni, come Christian, un ristoratore cliente, come Salvatore, un artigiano nostro fornitore, come tutti…
Come se non bastasse, dobbiamo poi convivere con alcune distorsioni, anche qui nell’indifferenza delle istituzioni, ovvero con l’invasione della campagna, come fosse un parco pubblico. Noi stessi siamo ambientalisti ed escursionisti, e salutiamo con piacere i camminatori dei nostri Colli anche dentro i terreni, ma quando si fanno vandalismi o non si rispettano i cartelli di pericolo e di proprietà privata, ci sentiamo aggrediti dal mondo e abbandonati dalle istituzioni.
Eppure, in questo disagio, stiamo cercando di reagire: prima di tutto continuando a seguire i ritmi del vigneto e del vino in cantina, che impone varie operazioni in un certo preciso momento (e non in un altro: è quello il difficile). Poi cerchiamo di dedicarci a progetti futuri, con la cura dei nostri spazi naturali.
E a livello commerciale stiamo sperimentando alcune iniziative innovative. Ad, esempio, lo ‘Speedtasting’, un format della società Winemeridian e della giornalista internazionale Michéle Shah (una sorta di workshop a distanza con buyer e importatori che degustano i nostri vini con noi su ‘Zoom’). Oppure la partecipazione al progetto ‘La spesa ritrovata’ del Mercato Ritrovato, che permette consegne refrigerate in 24 ore in tutta Italia dei nostri vini con le migliori ‘leccornie’ biologiche della regione; e infine l’adesione al progetto ‘Adotta un vigneto’, lanciato proprio in questi giorni a livello nazionale dalla società toscana Dronebee. Forse è questa la cosiddetta resilienza. O è pura incoscienza, quella visionarietà che poi fa andare vanti il mondo…? Boh. In bocca al lupo allora a tutti gli agricoltori resilienti, incoscienti o visionari che siano!