Questa sì che è una (wine)experience!

Ho scritto molto di vino in passato, ne scrivo ancora (raramente), ma siccome il vino lo produco da un tot, presumo di aver ottenuto una certa competenza tecnica. Per tal motivo i comunicati stampa che periodicamente ricevo da vari uffici pr di cantine, quasi mai – ahi ahi – li trovo interessanti. Generici, roboanti, ripetitivi, superficiali. Sì, do’ una leggiucchiata tanto per rimanere aggiornato, ma… Nei mesi scorsi, però, ne ricevetti uno, da un nuovo indirizzo, che immediatamente suscitò la mia curiosità.

Il primo vino al mondo fatto con uve interamente diraspate con le dita, un acino di ogni grappolo alla volta, mediante il metodo proprietario Atomos Three-Finger Destemming”.  Sembra una bizzarria, eppure solo chi ha fatto davvero il vino in diverse vendemmie può cogliere al volo il senso. Perché, per quanto le moderne diraspapigiatrici si siano evolute (ad esempio con le preselezionatrici e sgranellatrici a lettori ottici, che sono fuori portata per aziende normali), il processo – che non si fa coi piedi, vero?? – è sempre leggermente ‘distruttivo’. Ci provi a rispettare al massimo le uve, ma più di tanto è impossibile. Non usare pompe da uva, sfruttando dislivelli e cadute per gravità, in questa fase sarebbe già migliorativo, ma questo non è facilmente applicabile dalla maggior parte delle cantine, che necessiterebbero di enormi spazi e attrezzature e avrebbero complicazioni logistiche varie. Un’altra soluzione per evitare la ‘violenza’ della diraspapigiatura, non a caso, prevede per le uve bianche anche la pressatura a grappolo intero (con il raspo quindi), come si fa per certi vini bianchi di pregio o per Champagne, Franciacorta e altri metodo classico. Ma nemmeno questa, per vari motivi, può essere la tecnica dominante, ma solo un’eccezione (ha anche controindicazioni). Invece la selezione estrema del metodo Atomos, i chicchi prelevati uno a uno, con dita delicate di personale esperto, permette di mettere in pressa solo il meglio, cioè solo quei chicchi che sono ottimali, senza danneggiarli minimamente, come fanno invece, coclee, pompe, battitori… Ovvio che il metodo non è riproducibile in larga scala perché ci vogliono diversi minuti a grappolo, quindi ore e ore per quantità irrisorie di uva. Però l’obiettivo, ambizioso ma assolutamente giusto, è quello che conta: va verso la purezza, il sapore diretto e diritto, verso una sorta di ‘distillazione’ dell’essenza dell’uva.

Ed ecco questo vino Atomos, prodotto in Abruzzo da vigneti vecchi di 65 anni ai piedi delle grandi montagne, vendemmiati intorno al 20 settembre, in solo poche centinaia di esemplari da 1 litro e 9 Magnum. La fermentazione è spontanea a temperatura controllata in acciaio; l’affinamento prevede anche 10 mesi in rovere in un’antica cantina in pietra dalla temperatura costante. Il vino viene poi imbottigliato in un packaging innovativo e lussuoso. Il prodotto – diciamolo – si dirige deciso verso un pubblico internazionale di alto bordo. La bottiglia trasparente da un litro, tanto per dire, viene custodita in una preziosa tasca-sacca di alcantara, con il logo scritto in vero oro. Il costo, infatti, non è per tutti, ma… Qui non è solo vino, ma è come si suol dire oggi ‘esperienza’ totale.

Io, con un qualificatissimo panel di amici degustatori, fra cui Daniela e Claudio, dirigenti AIS Bologna, Donato Dolzani, storico sommelier bolognese membro della commissione del Merano Wine Festival, e produttori di vino dei Colli Bolognesi come Gian Luca Franceschini dell’azienda Isola, e la mia Donatella Agostoni della nostra Manaresi, ho avuto l’onore di poter provare un campione di questo vino. In particolare abbiamo assaggiato alla cieca, insieme ad altri vini bianchi fermi di vari territori, l’ATOMOS™ Bianco 2018 a base di uve Trebbiano, con grado alcolico del 12,5 %, in una bella giornata di tarda primavera, alla temperatura ottimale del vino a 14 gradi (non deve essere troppo freddo, infatti).

Abbiamo avvertito subito albicocca, miele, uvetta, mandorle, zabaione, un po’ di legno non eccessivo al naso, se vogliamo una noticina di ossidazione piacevole. In bocca, sorprende asciutto, snello, più di quanto il bel colore dorato non dica. Ma anche acidità e tannini significativi, a supporto di una stoffa notevole. Riprovando la bottiglia aperta, il giorno dopo e qualche giorno dopo ancora, non abbiamo avvertito deterioramenti, tutt’altro, ma si prolungava una piacevolezza alla beva unita alla complessità. Ci avrà forse influenzato il sapere com’era fatto il vino, ma solo io conoscevo la storia del vino, gli altri hanno degustato alla cieca. Ed è emerso il comune denominatore del sapore ‘straight’, netto, di carattere, ‘puro’.

E allora perché no? “Il metodo Atomos permette di raggiungere la purezza organolettica delle varietà di Montepulciano (c’è anche il rosso, sì – ndr) e Trebbiano: vuole diventare un format per produrre eccellenze in piccola scala nel mondo”, raccontano Maria Kalamati (greca) e Stefano di Nisio, ingegnere abruzzese. Sono loro gli artefici del progetto, grazie anche all’appoggio tecnico e al know how della cantina biologica condotta dalla sorella Maria di Nisio, Cantinarte, con vigneti a Bucchianico e Navelli nel teatino.

Il vino tra l’altro viene proposto da gustare religiosamente da solo, cioè non vengono consigliati abbinamenti, e con l’obiettivo di poter invecchiare fino a 30 anni.

Bravi, e coraggiosi, la giovane coppia abruzzese, nel “reinventare l’esperienza del vino”!

Maria

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