Verdicchio experience part I: con susci di Moreno Cedroni
Se mi chiedessero a bruciapelo di indicare un grande vino bianco italiano, probabilmente direi il Verdicchio. Anche se amo molto i friulani e gli altoatesini (e il Pignoletto, ovviamente), è il Verdicchio, nelle sue declinazioni sia stilistiche che territoriali, che rappresenta per me la sintesi dell’italianità enoica per quanto riguarda i bianchi. Un vitigno autoctono, di una regione italianissima, le Marche, nel centro dell’Italia che guarda a oriente; non a caso la nuova frontiera per gli stranieri che ricercano la qualità della vita e un flair alternativo al Chiantishire. Secondo un’indagine Nomisma Wine Monitor il Verdicchio è primo nella classifica della brand awareness dei vitigni autoctoni con il 77% degli intervistati che lo conoscono. Nelle degustazioni tematiche con amici e colleghi più volte è stato protagonista il Verdicchio, con l’obiettivo di ricercare e capire la longevità (avete presente le riserve di Villa Bucci e co…?) . E anche ultimamente ho avuto due belle occasioni di particolari ‘Verdicchio experience’. La prima è stata la conoscenza dell’azienda Tavignano, una delle poche cantine della zona maceratese della denominazione Castelli di Jesi, ne parlo qui in prossimo post). L’altra risale addirittura allo scorso Vinitaly (sì, lo so, ne scrivo in ritardo… more solito), grazie all’Istituto Marchigiano Tutela Vini, nell’insolita situazione di una Galleria d’Arte contemporanea, lo Studio la Città. Una cena con abbinamenti a cura niente meno che di Moreno Cedroni, stellare e stellato de La Madonnina del Pescatore di Senigallia, il quale nell’occasione sperimentava per la prima volta un filone che avrebbe poi riproposto questa estate al suo Clandestino Susci Bar a Portonovo. “Susci e Verdicchio, lungo la Via della Seta”. Dalla Pechino di Kublai Khan alla Venezia di Marco Polo, contaminazioni di ingredienti e culture “per celebrare il vino bianco fermo più premiato d’Italia”, hanno scritto testualmente gli organizzatori, cosa che è verissima, e mai abbastanza ricordata, se si analizzano i riconoscimenti delle 8 guide maggiori..
E così fra suggestioni di sapori e aromi, ma anche di geometrie ed effetti optical creati con i piatti dello chef, la celebrazione c’è stata davvero. E mi piace qui rievocarla. Apertura con Verdicchio dei Castelli di Jesi doc Spumante brut riserva metodo classico Garofoli 2009… Poi, ecco gli abbinamenti, compreso miei scarabocchi (e ognuno tragga le sue conclusioni…). Non sto a ricopiarli, nè a commentarli. Ma i piatti sono stati davvero speciali (leggete bene gli ingredienti, per sognare un po’). E i vini all’altezza.
Qui sopra il piatto ‘Deserto dei Gobi’ abbinato al Verdicchio Classico Superiore Castelli di Jesi doc Bucci 2013.
Alla prossima puntata, con la Verdicchio Experience, con l’azienda Tavignano, sempre su questo sito in prossimo articolo.